Inquinamento atmosferico e parto pretermine

Le ultime evidenze scientifiche

Inquinamento atmosferico e parto pretermine

Il parto pretermine è una delle principali cause di mortalità e morbilità neonatale a livello globale, con conseguenze durature sullo sviluppo fisico e neurologico del bambino. Sebbene sia noto che numerosi fattori contribuiscano al rischio di nascita pretermine, negli ultimi anni l’attenzione scientifica si è concentrata sull’impatto dell’ambiente, in particolare sull’esposizione agli inquinanti atmosferici. Le più recenti evidenze epidemiologiche indicano che l’inquinamento, anche in contesti con livelli relativamente bassi come la Svezia, può avere un ruolo determinante in esiti avversi della gravidanza.

I dati dalla Svezia

Uno studio pubblicato nel 2024 sull’International Journal of Hygiene and Environmental Health ha analizzato oltre 600.000 gravidanze registrate in Svezia tra il 2014 e il 2019. L’obiettivo era valutare l’associazione tra l’esposizione materna a ozono, particolato fine (PM2.5 e PM10) e biossido di azoto nella settimana precedente al parto, in relazione al rischio di parto pretermine. Per ogni nascita, l’esposizione agli inquinanti è stata stimata con un’alta risoluzione spaziale e temporale, utilizzando modelli avanzati di dispersione degli inquinanti basati sull’indirizzo di residenza.

I risultati hanno evidenziato una correlazione significativa tra l’esposizione acuta a ozono e il rischio di parto pretermine. In particolare, un aumento di 10 microgrammi per metro cubo nella concentrazione di ozono nella settimana antecedente al parto è risultato associato a un incremento del 6% del rischio di parto pretermine. L’associazione è apparsa più marcata nei parti spontanei, nei neonati di sesso maschile e durante la stagione primaverile. Non sono emerse, invece, relazioni statisticamente significative per le altre componenti inquinanti studiate, come il particolato fine (PM2.5), il particolato inalabile (PM10) e il biossido di azoto.

Il quadro globale

Sebbene lo studio svedese sia rilevante per il suo contesto a bassa esposizione, le implicazioni dell’inquinamento atmosferico sulla salute riproduttiva sono confermate anche su scala globale. Una delle analisi più ampie, discussa anche da media specializzati come Focus.de e Scinexx.de, ha stimato che nel solo anno 2010 circa 2,7 milioni di nascite pretermine siano state attribuibili all’esposizione al particolato fine PM2.5. Questa cifra rappresenta circa il 18% di tutti i parti pretermine nel mondo. Le regioni più colpite risultano essere l’Asia meridionale e orientale, in particolare l’India, dove si stima siano avvenuti oltre un milione di casi associati all’inquinamento atmosferico, e la Cina, con circa mezzo milione di casi.

Nonostante livelli più contenuti di inquinamento, anche i Paesi occidentali non sono immuni. I dati suggeriscono che l’ozono troposferico, la cui formazione è favorita da temperature elevate e da composti precursori legati al traffico veicolare e alle attività industriali, sta emergendo come un fattore di rischio autonomo anche in Europa e Nord America, in particolare durante i mesi estivi.

Meccanismi biologici

L’ipotesi più accreditata è che l’inquinamento atmosferico agisca tramite l’induzione di uno stato infiammatorio sistemico nella madre, con conseguente alterazione della placentazione e maggiore propensione all’inizio del travaglio. Inoltre, lo stress ossidativo indotto dagli inquinanti può danneggiare direttamente i tessuti placentari e fetali, modificare l’espressione genica e influenzare negativamente la vascolarizzazione dell’interfaccia materno-fetale. Questo può portare ad attivazione prematura del sistema immunitario e rottura anticipata delle membrane amniotiche.

Implicazioni per la pratica clinica

Per i medici e gli operatori sanitari, questi risultati impongono una riflessione sul ruolo dell’ambiente nella gestione del rischio ostetrico. È essenziale che la consulenza alla donna in gravidanza includa raccomandazioni aggiornate sull’esposizione agli inquinanti atmosferici, specie nei periodi più critici della gestazione. La possibilità di identificare i giorni ad alto rischio tramite sistemi di monitoraggio ambientale può essere integrata nel counseling prenatale. Le autorità sanitarie locali dovrebbero considerare l’inquinamento atmosferico come un fattore modificabile nel quadro della prevenzione primaria.

Le evidenze provenienti dalla Svezia, combinate con i dati su scala globale, rafforzano il concetto che anche esposizioni acute e a concentrazioni modeste di inquinanti, in particolare l’ozono e il PM2.5, possano aumentare significativamente il rischio di parto pretermine. In un’epoca di crisi climatica e incremento dell’ozono troposferico, è urgente considerare l’ambiente non solo come sfondo ma come protagonista attivo nella salute materno-fetale. La ricerca futura dovrà indagare meglio i meccanismi biologici alla base di queste associazioni, ma nel frattempo le evidenze disponibili richiedono attenzione clinica, politiche pubbliche mirate e informazione capillare alle pazienti.

Bibliografia:

  • Aziz N, et al., Association between ambient air pollution a week prior to delivery and preterm birth using a nationwide study in Sweden, Int J Hyg Environ Health. 2024 Sep;262:114443. doi: 10.1016/j.ijheh.2024.114443. Epub 2024 Aug 18. PMID: 39159527.
  • Focus.de: “Millionen Frühgeburten durch Feinstaubbelastung”, 2024.
  • Malley CS, et al. Nature Communications, 2017.
  • Qian Z, et al., Ambient air pollution and preterm birth: A prospective birth cohort study in Wuhan, China. Int J Hyg Environ Health. 2016 Mar;219(2):195-203. doi: 10.1016/j.ijheh.2015.11.003. Epub 2015 Nov 19. PMID: 26639560.
  • Scinexx.de: “Mehr Frühgeburten durch Feinstaub”, 2024.

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